IL RECOVERY FUND

Abbiamo espresso una posizione critica sul Recovery Fund perché, sebbene si tratti di uno strumento che può rappresentare opportunità di crescita e di sviluppo per alcuni settori industriali nel prossimo futuro, ha due difetti fondamentali: molto probabilmente le risorse saranno disponibili soltanto a partire dal secondo semestre del 2021, e la loro erogazione sarà dilazionata nell’arco di sette anni. Arriveranno quando l’Italia, che attraversa la crisi peggiore del continente, sarà ormai in ginocchio, e saranno concessi con condizionalità stringenti.
Chi paga il Recovery? Per finanziarlo verranno in parte introdotte “tasse europee”, come la già annunciata “plastic tax” che colpirà la nostra industria chimica, in parte invece saranno gli Stati, tra cui il nostro, a ripagare attraverso il contributo al bilancio UE le somme raccolte sui mercati.

La maggior parte di questi fondi, 120 miliardi, non ci vengono regalati ma prestati, costringendoci ad aggiungere nuovo debito al già gravoso debito pubblico italiano, ipotecando così il futuro delle nuove generazioni. Anche gli 80 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto, circa 10 miliardi all’anno, saranno in parte finanziati attraverso il contributo annuale dell’Italia al bilancio comunitario, che corrisponde a circa di 5 miliardi. Un baratto pericoloso, che limita la nostra libertà e la nostra sovranità, e che rischiamo di dover pagare a caro prezzo.
